Incontro con Andrea Tornaghi, architetto

luglio 18, 2011

Andrea Tornaghi

Il settore dell’architettura vive una fase di evoluzione permanente: nello specifico, si tratta di uno scenario in cui emergono sempre nuove esigenze di tipo abitativo civile (per i privati) e di tipo business (per le superfici retail, per le sedi aziendali e per location di eventi), uno scenario complesso che vede impegnati diversi professionisti nel realizzare progetti ad hoc per l’organizzazione ottimale e funzionale degli spazi. Ne parliamo con l’architetto Andrea Tornaghi, monzese, classe 1967, professionista con un significativo background maturato sia in Italia che all’estero negli ambiti edilizia, ristrutturazioni, interior design, retail and hospitality design, certificazioni energetiche e industrial design.

Dottor Andrea Tornaghi, oggi, cosa significa essere architetto?

“Essere architetto è un privilegio che porta con sé molte responsabilità. Significa poter inventare ogni giorno spazi e oggetti nuovi, ma, soprattutto, confrontarsi con chi dovrà fruire ciò che noi, per suo conto, progettiamo. Il “Design”, non solo industrial, deve rispettare sia forma che funzione, troppo spesso, quest’ultima, dimenticata. Significa anche, sempre di più, attenzione ai nuovi materiali e tecnologie: solo pochi anni fa, nessuno sapeva cosa fosse un “cappotto” e, ora, costruiamo case con consumi energetici estremamente ridotti e sempre più orientate verso l’autosufficienza energetica”

Che ruolo svolge l’architettura nell’ambito della società contemporanea?

“Davvero una bella domanda. L’architettura è portatrice di una forza dirompente, è una delle ultime discipline umanistiche in grado di cambiare il nostro modo di vivere e il nostro territorio. Nel corso dei secoli, ha prestato la sua arte sia per luoghi di culto che per fortificazioni ed edifici monumentali e celebrativi. Oggigiorno, perlomeno in Italia, sembra un po’ svilita quasi fosse inutile. I nuovi monumenti sono diventati i centri commerciali e le amministrazioni non si prodigano di certo per creare veri luoghi di aggregazione e concreti spazi pubblici. Sono stato di recente a Barcellona ed è stata una boccata d’aria: la città vive e ogni edificio pubblico è pensato per la collettività anche negli spazi accessori. Quanto ai centri commerciali di cui sopra, è stato appena inaugurato in Piazza di Spagna quello realizzato dalla mano di Foster al posto della Plaza de Toros o, meglio, dentro di essa: un esempio di come sia possibile integrare una funzione nuova e moderna nel mezzo della storia della città”

In base alla sua pluriennale esperienza, come nasce un progetto architettonico e quali sono le sue principali linee guida?

“La partenza sono le necessità del cliente e i suoi desideri che trovano espressione e guida nel nostro intervento. Sia che si tratti di un’abitazione, di uno spazio retail o di un albergo, muovo dai volumi, dal generale scendendo, poi, via via fino al minuto particolare. Ci sono però idee che permeano di sé il progetto fin dall’inizio, quali i materiali che si intendono usare o il tipo di percezione che si desidera avere dei volumi”

A suo avviso, quale deve essere il risultato finale di un progetto architettonico?

“Il benessere. Come dicevo prima, l’architettura influenza la nostra vita e lo fa spesso fisicamente. Le faccio un esempio: a Milano, in Via Montenapoleone, c’era un negozio di Versace estremamente decorato, in stile neoclassico del quale molti sono stati detrattori. Gli spazi erano però molto ben progettati e soprattutto vi erano armonia e proporzione: dentro quel negozio si stava molto rilassati, a proprio agio. L’obiettivo era stato raggiunto completamente. Per contro, vi sono edifici che ci fanno stare male: a Basilea, vi è lo Schaulager, edificio progettato come magazzino di opere d’arte, aperto per alcuni mesi l’anno come museo. L’edificio è interessante, senza dubbio un ottimo magazzino, ma, per il visitatore, risulta stressante e claustrofobico: durante la visita, sono stato colto da nausea crescente, scomparsa una volta uscito all’aperto”

Sul versante dell’impatto visivo, che cosa deve comunicare ai propri fruitori la realizzazione finale di un progetto architettonico ottimale?

“Non credo ci possa essere una risposta univoca a questa domanda. Ognuno di noi ha una propria sensibilità estetica, a volte, molto sviluppata e, altre volte, pochissimo sviluppata. Inoltre, differenti sono le richieste in partenza. In linea generale, dovrei rispondere “appagamento” per il risultato raggiunto: qualcosa che rispecchi e, se possibile, superi le aspettative del cliente. Si tratta di fattori quali la freschezza per un negozio, l’autorevolezza per uno studio legale, la magnificenza per uno spazio celebrativo…”

Lei è anche designer di interni, in particolare, per il settore furniture. Quale deve essere il valore aggiunto di un prodotto di design?

“La comodità, la semplicità e la logica di fruizione. Un qualsiasi prodotto viene prima disegnato e il riconoscimento del creatore è storia recente. C’è stata una corsa all’oggetto di “design” inteso come accattivante, strano, esteticamente riuscito: in questo ambito, Alessi ha fatto storia. Questo ha, però, portato all’esasperazione e alla riduzione, spesso, del design a una valenza puramente estetica, mentre è vero il contrario: la parte tecnica ha un’enorme importanza. Quindi, il valore aggiunto, ciò che rende un prodotto di design degno di tale nome è il perfetto amalgama tra forma e funzione, quasi diventassero una cosa sola”

In assoluto, qual è il progetto al quale lei sente di essere maggiormente legato?

“In realtà più di uno, ma forse l’ultimo, che mi sta dando molte soddisfazioni. Una ristrutturazione di un edificio industriale trasformato in residenza dove la sintonia con la committenza è stata totale e in cui abbiamo potuto utilizzare materiali naturali come il sughero e la lana e ci siamo confrontati con spazi forse rigidi ma ampi: con una serie di aperture, abbiamo realizzato dei cannocchiali per cui da ogni locale si leggono due, tre piani in profondità e si percepisce come un costante fluire di un locale dentro un altro, fino al giardino”

Informazioni:

Creative Architects Network
www.ca-n.it
Andrea Tornaghi
http://it.linkedin.com/pub/andrea-tornaghi/27/363/956

Marco Mancinelli
PressWeb Editor
pressweb@teletu.it


AGCOM e libertà di espressione on line

luglio 5, 2011

AGCOM e attacco alla libertà di espressione on line

Risulta davvero incomprensibile ed eccessivo, sia nei toni e sia nelle modalità operative, quanto contenuto nella recente delibera dell’AGCOM, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Nello specifico, risulta che se il titolare dei diritti di un contenuto di tipo audiovisivo riscontri una violazione del copyright su un qualsiasi sito Internet (portale, banca dati, sito privato o blog) ha la facoltà di chiederne la rimozione al gestore. Inoltre, il gestore, come espressamente indicato nella delibera, se la richiesta dovesse apparisse fondata, avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere. E se ciò non dovesse avvenire, il richiedente avrebbe la facoltà, secondo la delibera, di rivolgersi direttamente all’AGCOM la quale farebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro il termine massimo di 5 giorni, comunicandone l’avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. In caso di esito negativo, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni potrebbe disporre la rimozione dei contenuti. La domanda da porre è: ma come è possibile che sia demandato a un ente amministrativo decidere su questioni del genere che attengono direttamente alla libertà di espressione? Ma non solo: emerge il dubbio che ci si possa attaccare a nebulose violazioni del copyright (comunque, una questione quanto mai seria e non marginale) per togliere dalla circolazione on line siti e blog che risultano fastidiosi per qualcuno. Sul sito Valigia Blu – La Dignità dei Giornalisti, il Rispetto dei Cittadini –, viene menzionato correttamente il commento del professore Juan Carlos De Martin del Politecnico di Torino pubblicato sul Sole 24 Ore: “Anche l’Italia contribuisce al cambio di scenario. Il nostro paese rischia di diventare la prima grande democrazia avanzata a permettere a un ente amministrativo di decidere di diritti fondamentali come la libertà di espressione. L’Agcom da mesi lavora a un provvedimento che introdurrebbe una procedura puramente amministrativa per sanzionare usi ritenuti illeciti di contenuti tutelati dal diritto d’autore. Negli ultimi giorni si è prefigurata un’improvvisa accelerazione del processo, che nei primi mesi di quest’anno era stato trasparente e inclusivo. Le prossime settimane diranno se e in che misura l’Italia contribuirà al tentativo dei decisori tradizionali di prendere il controllo di quella rete ideata, arricchita e popolata da tutti, tranne che da loro e dalle istanze che rappresentano“. C’è molto da riflettere e, soprattutto, da capire. C’è da riflettere sull’opinione che determinati ambienti amministrativi hanno della Grande Rete. C’è da capire che cosa davvero rappresenta il mondo della comunicazione e delle idee che circolano on line anche nel nostro Paese. In ogni modo, va detto che la delibera dell’AGCOM non è di certo passata inosservata: è in atto da diversi giorni una mobilitazione civile, che vede promotori Adiconsum, Agorà Digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio e Studio Legale Sarzana. Diverse migliaia sono, allo stato attuale, le adesioni di chi esprime seria preoccupazione sulla vicenda: è sufficiente consultare il presidio on line Sito Non Raggiungibile e verificare i risultati aggiornati in tempo reale della petizione rivolta a tutti gli schieramenti politici.
Un ambito come quello relativo ai mezzi della libertà di espressione non può che essere regolato per via legislativa (parlamentare) e non per via amministrativa e burocratica.
Sperando che al buon senso e, soprattutto, ai sani principi che stanno alla base di ogni vera democrazia venga riservato lo spazio che meritano, sempre e necessariamente.

Marco Mancinelli
PressWeb Editor
pressweb@teletu.it