La prima impressione che hai, appena varchi l’entrata principale del carcere di Bollate, è piuttosto strana: non ti sembra di entrare in una casa di reclusione, ma in un altro tipo di struttura. Poi, mano a mano che procedi all’interno, realizzi che, certo, si tratta di un vero e proprio carcere, noti le sbarre alle finestre e la presenza degli agenti della polizia penitenziaria, ma l’atmosfera è diversa da quella che ti aspetti: gli edifici sono moderni, tutto è in ordine, c’è una grande pulizia, i detenuti e le detenute possono uscire dalle rispettive celle per impegnarsi in attività di studio e di lavoro. Ma non solo: possono dedicarsi ad attività sportive e ricreative. Non è un caso che il tasso percentuale di recidivi, una volta usciti dal carcere di Bollate, è di gran lunga inferiore a quello delle altre strutture penitenziarie. Si tratta di un caso unico: là, chi deve scontare una pena definitiva ha la reale possibilità di essere inserito concretamente in un effettivo percorso di recupero. È la mattina di Sabato 19 Marzo quando, al termine di un corso di formazione organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (“Media e Carcere”) e dopo quattro intense mattinate di lezioni presso il Tribunale di Milano tenute da giuristi, magistrati, una funzionaria dell’Amministrazione Penitenziaria, due croniste, una criminologa e un avvocato penalista, con un cospicuo gruppo di colleghi giornalisti, entro in una realtà particolare che conosco soltanto di riflesso, per sentito dire o per averne letto: è la realtà del cosiddetto “Progetto Bollate”. Il primo impatto è letteralmente sorprendente: realizzati da diversi tra gli ospiti della casa di reclusione, vedi manufatti di pregio creati con grande gusto, vedi quadri fatti con indubbia maestria e, soprattutto, con vera passione. Personalmente, resto colpito da alcuni modellini di navi, velieri di cui non puoi che apprezzare la bellezza e l’estrema cura dei più piccoli dettagli. Incontriamo la redazione de “Il Nuovo Carte Bollate”, periodico di informazione dal carcere e sul carcere che esce con periodicità bimestrale, con una tiratura di 1.200 copie, diretto dalla giornalista Susanna Ripamonti ed edito dall’Associazione Amici di Carte Bollate, presieduta dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida. “Il Nuovo Carte Bollate” è nato nel 2002 e, attualmente, è realizzato da una redazione composta da venti tra detenuti e detenute, oltre che, come volontari, da giornalisti professionisti ed esperti di comunicazione. L’incontro con la redazione e con alcuni dei membri dello Sportello Giuridico è reso possibile da Susanna Ripamonti e dal consigliere dell’Ordine dei Giornalisti Mario Consani. Il dialogo con gli ospiti della casa di reclusione risulta, fin dall’inizio, qualcosa che va ben al di là della semplice cortesia: hanno voglia di raccontarsi, di parlarti della loro esperienza carceraria, del loro vissuto quotidiano e, soprattutto, delle loro storie. Dai loro interventi rivolti a tutti i giornalisti presenti, ma anche e soprattutto da ciò che ti raccontano faccia a faccia, emergono aspetti estremamente densi di significato. In primo luogo, essendo tutti reduci da soggiorni in altre strutture penitenziarie, sono consapevoli che è stata loro offerta una grande opportunità sul duplice versante della qualità di vita nell’ambito detentivo e del percorso di reinserimento personale e sociale. “Se mi vengono riconosciuti i miei diritti“, mi dice uno dei detenuti, “quando esco, riconosco meglio quelli degli altri“. Oltre a loro, è la stessa direttrice del carcere, Lucia Castellano, che tiene a rimarcare questo aspetto. Ma, oltre a ciò, c’è di più, c’è molto di più: emerge un’umanità che, agli occhi dei molti che non conoscono la realtà del carcere, è qualcosa di sconcertante. Emergono storie, emergono percorsi umani difficili, emergono vissuti passati che i reclusi hanno alle loro spalle, vicende che li hanno condotti a scontare una pena detentiva. Si tratta di vicende passate maledette, certo, ma che li spingono, giorno dopo giorno, a porsi non una, ma cento domande, su se stessi e sulla vita in genere. Dal loro modo di parlare di tutto, di raccontarsi e anche di scherzare, emerge molto, moltissimo: emerge quanto possa rivelarsi difficile il percorso umano di un uomo o di una donna che si sono ritrovati a commettere uno o più errori, uno o più reati, ma che, ora, mostrano un sincero desiderio di normalità personale, di armonia interiore e, come è naturale che sia, di libertà. Il pranzo con loro è un ulteriore momento di dialogo con l’umanità di cui non soltanto sono capaci, ma di cui sono portatori. Rosario, Habib, Sandra, Enrico, Antonio, Lino, Margit e tanti altri con cui parliamo e ci confrontiamo sono la testimonianza e la prova di quanto, purtroppo non di rado, gli stessi mass media raccontino in modo inesatto la realtà carceraria: si tratta di una realtà complessa, in cui si fondono storie e relazioni umane, normative e provvedimenti giudiziari, burocrazia e strutture fisiche penitenziarie. Si fondono e, spesso, in modo dissonante. Il “Progetto Bollate” ci mostra altre realtà lavorative e ricreative inaspettate: un vivaio con circa duecento tipi di piante, un maneggio, un call center, un’attività di catering, una palestra, un laboratorio musicale (a proposito, un grazie alla band per aver suonato un pezzo su nostra richiesta) e tanto altro. Scopriamo che hanno anche una squadra di calcio che partecipa al campionato di terza categoria. Ci viene mostrata una cella dove alloggiano quattro ospiti: contrariamente alla quasi totalità delle strutture carcerarie italiane, è sufficientemente ampia, i letti non sono a castello e c’è una cucina abbastanza funzionale. Non puoi fare a meno di osservare le cose di proprietà degli occupanti: libri, oggetti, un piccolo televisore e altri accessori tenuti in ordine e che fanno parte della loro quotidianità. Il momento dei saluti, dopo circa sette ore trascorse insieme, è molto cordiale ma, allo stesso tempo, amaro: al contrario di loro, tu esci, torni alla tua vita libera, ma avverti chiaramente che hai acquisito qualcosa di importante e di significativo, qualcosa che non potrai dimenticare, non soltanto come giornalista, ma, soprattutto, come persona. Per tutte le persone che ho e che abbiamo conosciuto al carcere di Bollate, valga una frase di Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Milano: “Tu vali molto di più del reato che hai commesso“.
Con dedica speciale alla Redazione de “Il Nuovo Carte Bollate”, agli Ospiti e agli Operatori del Carcere di Bollate.