Scoop Giornalistico: la Professione, l’Etica e la Morale

gennaio 29, 2007

Giacomo Fontana, lettore di PressWeb, ha inviato un interessante contributo di riflessione dedicato alle tematiche dell’informazione contemporanea…

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Ci sono professioni che fanno vibrare di entusiasmo, questo perché ti riportano a quel grande sentimento che un tempo stimolava ed entusiasmava l’azione dei Padri, ma oggi il giornalismo non si fa così. Viene tutto filtrato, manipolato, in parte censurato. Il resto non viene neppure presentato e così via dicendo. Oggi la passione, lo slancio e il sacrificio delle imprese, nella impostazione e nella scelta degli argomenti, non può più tendere all’omaggio verso i valori tradizionali della missione del giornalista e del relativo potenziamento del suo vero talento. Il vero naturale e brillante professionista della carta stampata è completamente scomparso. Oggi lo Scoop viene ricercato di tipo facile, quello che serva a qualcuno e che non dispiaccia a molti. L’importante è documentare un fatto e più grave è, meglio è. Se per esempio viene segnalato alla Stampa un pericolo ove vi è a rischio l’incolumità di qualcuno, questo non viene assolutamente preso in considerazione. Ma se quel rischio causa un morto, allora come mosche sullo sterco, sono tutti attenti e all’opera per stilare un articolo. La sindrome della NON PREVENZIONE oggi è arrivata a contagiare anche i giornalisti. Tuttavia ciò accade non per colpa loro, ma per un sempre più marcio sistema, che lentamente col tempo e su questo sentiero non risparmierà nessuno. A quanto pare non importa più se il significato essenziale di un articolo non volge verso una profonda intonazione sociale ed etica, che aiuta, piace e avvince. Non interessano i momenti interminabili, fondamentali e tremendi della vicenda umana, né tanto meno l’angoscioso dramma di una vittima innocente di un’ingiustizia, di uno strapotere, di un delitto. E’ un florilegio di paradossi e di errori. Il buon senso a questo punto viene disintegrato dalla filosofia degli affari, sia economici che politici. E’ un modo di pensare che viene instillato ai giornalisti da chi ha il potere economico o politico. Ogni volta che però viene represso il buon senso a qualcuno, si uccide una parte di quella persona, di quel padre di famiglia, di quel professionista. Voi mi direte: “che significa reprimere il buon senso?” Significa accecare la coscienza, stordirla, ammutolirla, sopprimendo il potere interiore, in due parole, schiavizzando l’individuo. L’essere umano viene ridotto a merce da utilizzare a proprio piacimento. Il professionista viene trattato come un animale, da cui si deve trarre utilità, potere e profitto, anche se il prezzo che deve pagare sul piano umano e psicologico è enorme. Senza entrare oltre nel merito di questa questione e contestualmente ai probabili relativi danni alla salute che nel tempo potrebbero verificarsi, ricordo solo la necessità di dovere sapere e di considerare l’uomo e i suoi disagi, come prodotto trasformato dalla organizzazione sociale nella quale viene inserito. Chiunque abbia compreso voglia comprendere con rigore ed empatia a che livello decadente di società siamo approdati, inoltrandosi nel campo delle relazioni di aiuto e di ripristino della vera umanità, sempre più calpestata e danneggiata dal profitto sfrenato e criminale. Sono dell’idea che persone divenute gravi vittime dell’arroganza del potere, debbano avere voce e che non è ammissibile sotto ogni profilo mantenere di nascosto sempre più danneggiata, emarginata e umiliata una vittima del crimine.

Giacomo Montana


Write to PressWeb__Un consulente editoriale presuntuoso?

gennaio 19, 2007

Un consulente editoriale presuntuoso

Buongiorno. Sono un imprenditore che si è avvalso della collaborazione di un consulente editoriale – di cui non dico il nome per correttezza – per produrre della documentazione aziendale. Un mio conoscente mi ha informato che il suddetto consulente ha pubblicato un articolo in cui parla del suo lavoro. L’ho letto e riletto con molta attenzione e ho trovato la frase “l’abile consulente si ritaglia un’autonomia operativa nei confronti del suo cliente. Questo presuppone una maggior responsabilità, ma permette di evitare quelle situazioni in cui un’iniziativa naufraga per le ingerenze poco opportune dell’editore che ha la presunzione di essere un valido comunicatore“. La domanda che voglio porre è, parlando con chi fa comunicazione anche nel settore editoriale, non siamo davanti a un atteggiamento di sgradevole presunzione da parte di chi è pagato da un cliente per un lavoro non così facile da piazzare nel mercato dei servizi alle imprese? Grazie per la risposta su Pressweb. Saluti.
Un lettore”

Caro lettore, per prima cosa, condivido che, in un periodo come quello attuale, in cui molte realtà aziendali si mostrano più propense a tagliare costi piuttosto che ad investire sul versante dei servizi consulenziali come quelli editoriali, il fatto che te, come azienda, ricorra o abbia fatto ricorso ad un servizio consulenziale del tipo in questione non può che avvalorare il tuo modo di porti nei confronti della necessaria qualità della comunicazione aziendale. Detto questo, occorre aggiungere che, parlando in termini generali, ogni consulente editoriale e comunicatore svolge questa professione come meglio crede. Non c’è dubbio che, considerando diversi casi di cui il sottoscritto è a conoscenza, alcuni committenti, pur digiuni di determinate tematiche legate alla comunicazione, a volte, tendono a gestire il proprio rapporto con il consulente di turno in modo non propriamente proficuo. Ma è esattamente in questo contesto che deve emergere la vera professionalità del consulente esterno: deve essere in grado di comprendere i reali bisogni e le concrete aspettative del cliente per poi amalgamare armonicamente il tutto con il suo intervento professionale. Da come hai riportato la frase scritta dal tuo consulente, inutile negare l’evidenza, emerge (forse) una strana sorta di presupponenza che non sembra essere esattamente in linea con le modalità operative a cui dovrebbe attenersi un navigato ed esperto professionista impegnato nel settore dei servizi alle imprese, modalità fatte necessariamente anche di capacità e di volontà di ascolto, di analisi e di considerazione riferite ai bisogni del committente. Magari, caro lettore, forse non sarà il caso del consulente editoriale di cui racconti, certo è, però, che qualche consulente, a volte, in virtù della professionalità che egli si autoattribuisce, cade e scade in atteggiamenti da “professorino in erba“, rischiando sia di scavare un solco controproducente tra sé ed il cliente che di rimediare qualche pessima figuraccia.

Marco Mancinelli
PressWeb Editor
pressweb@teletu.it

Write to PressWeb__Click e visitatori effettivi, un dilemma da newsletter

novembre 16, 2006

Salve. Con lo staff della società di servizi per cui lavoro, curo a 360 gradi la realizzazione e la gestione di una newsletter dedicata a temi aziendali. Durante una delle ultime riunioni, c’è stata una discussione sulla effettiva riuscita del progetto. Per dirla in breve, la newsletter collegata al sito viene inviata a oltre 15.000 nominativi e ciò potrebbe essere un gran successo, ma dalle statistiche leggo che i click sono circa 6.000 mentre i visitatori effettivi che approdano tramite la newsletter al sito sono circa 1.500; ho fatto presente che bisogna valutare bene se è il caso di intervenire sui contenuti che pubblichiamo, perché ho il dubbio che i risultati non siano di alto livello, come i responsabili del progetto dicono di ritenere. Cosa ne pensa PressWeb? Grazie da Max

Caro Max,

la questione che poni è molto interessante e quanto mai attuale: negli ultimi 5 anni, il fenomeno delle newsletters realizzate per sostenere la visibilità di presidi sul web è aumentato in modo quasi esponenziale e ciò coinvolge sempre nuove figure professionali. Il data base utilizzato per l’invio della vostra newsletter è, senza dubbio, ampio e “corposo”, ma, al di là di ciò che viene sostenuto da ancora fin troppi (falsi) esperti, il numero dei click conta fino ad un certo punto: sono i visitatori effettivi che davvero contano e che vanno considerati per valutare la riuscita o meno di un’iniziativa editoriale come quella delle web newsletters. Nel vostro caso, su 15.000 utenti che ricevono la newsletter, 1.500 accedono al sito: si tratta del 10%. Mi scrivi che i click sono 6.000: significa che, in media, ogni visitatore effettivo digita con il mouse 4 delle news che inserite nella newsletter. Ora, dipende da quali sono gli obiettivi della vostra newsletter per capire bene se è un risultato accettabile: magari, vi rivolgete ad un selezionato pubblico di nicchia e un tale risultato potrebbe anche essere valutato come positivo. Se, invece, il vostro target non è di nicchia e vi rivolgete ad un pubblico particolarmente ampio, ritengo che potete considerarvi ancora in una fase di start up, perché l’interesse effettivo espresso dagli utenti totali è piuttosto basso, in particolare se si intende considerare la vostra newsletter come un prodotto editoriale più che come uno strumento di comunicazione aziendale. Ne girano, di favole, nell’ambiente delle newsletters. Ciò che conta davvero è il numero effettivo di visitatori ottenuti sul totale degli utenti e non i click totali: chi sostiene il contrario, racconta favolette (altro che cappuccetto rosso o i tre porcellini).


Marco Mancinelli
PressWeb Editor
pressweb@teletu.it