Sono passati 20 anni esatti da quel 4 Giugno 1989, giorno in cui, a Pechino, la pacifica manifestazione di protesta degli studenti cinesi venne repressa brutalmente nel sangue.
Cosa chiedevano gli studenti?
Chiedevano riforme di stampo democratico, garanzie per la libertà d’espressione e rispetto per i diritti civili.
Un numero imprecisato di essi venne massacrato sul luogo stesso della manifestazione, in Piazza Tien An Men.
Al tempo, frequentavo l’università (per fortuna, in Italia) e ricordo con molta chiarezza quanto ero disgustato al solo pensiero che, in un’altra parte del mondo, miei coetanei erano sottoposti a una tale e vigliacca brutalità.
Oggi come allora, reputo più che sacrosanto il diritto di ogni essere umano a essere libero, a vivere in uno Stato di diritto degno di questo nome, in cui la legalità e le garanzie democratiche siano sempre presenti e rispettate.
A distanza di 20 anni, ancora non è stato reso pubblico né il numero delle vittime (migliaia) di quella infame repressione e né il numero delle persone che, ancora oggi, sono detenute in carcere, sottoposte ad angherie e a processi di “rieducazione ideologica”.
Ricordo ancora, inoltre, alcune insane reazioni di alcuni “personaggi” (chiamiamoli così) che frequentavano le varie facoltà del mio vecchio ateneo.
Alcuni studenti di sinistra si diedero un gran da fare nel preparare e nell’affiggere manifesti in cui davano la colpa della strage non al dittatoriale governo cinese in quanto tale, ma, roba da matti, al fatto che l’allora primo ministro cinese Deng si era adoperato per introdurre qualche (timida) riforma di apertura al libero mercato: secondo quei buontemponi dei miei ex colleghi di studi, quindi, gli studenti cinesi stavano manifestando contro tali riforme e non contro il regime antidemocratico!
“…Col mio cuore in quella piazza, tieni a mente Tien An Men…”