Incontro con Domingo Villar, scrittore

Domingo Villar

Il mondo interiore di uno scrittore è capace di offrire nuove chiavi di lettura del mondo letterario e del proprio contesto: è proprio questo che si percepisce distintamente parlando con Domingo Villar, scrittore spagnolo che, da molti anni, vive a Madrid, ma che, ci tiene rimarcarlo, è legatissimo al suo luogo natio, alla Galizia. Lo incontro presso Villa Greppi, a Monticello Brianza, luogo dove è in corso di svolgimento la nona edizione del festival della letteratura noir “La Passione per il delitto”. Domingo Villar, classe 1971, ha appena terminato di presentare al pubblico del festival il suo ultimo libro, “La spiaggia degli affogati” (Kowalski). Il libro è così presentato nella brochure del festival: “Galizia, Ottobre. Una volta che i turisti hanno lasciato le spiagge, sulla costa del Nord della Spagna non restano che il clima uggioso e la vita dura dei pescatori che si svegliano all’alba per andare in mare e, poi, nel pomeriggio, ammazzano il tempo e la nebbia bevendo vino nelle taverne. Quando, però, l’ultimo acquazzone lascia sulla spiaggia il cadavere del marinaio Justo Castelo, la malinconica e taciturna comunità di Panxón deve rinunciare ai suoi silenzi: quello che, a prima vista, sembrava un suicidio, si rivela, infatti, un delitto ben mascherato”. Quando gli chiedo del suo rapporto con la scrittura, Domingo mi parla e con grande passione dell’importanza che, nei suoi libri, attribuisce ai dialoghi, alla gente della sua amata e mai dimenticata Galizia: un mix armonioso finalizzato a raccontare, certo, una storia di investigazione criminale, ma anche a farlo sentire ancora là, proprio là, nei luoghi dove è nato e ha vissuto fino all’età di diciotto anni, luoghi che definisce essere “il paradiso perduto”. “Scrivere”, mi dice, “è per me un modo per farmi riflettere, per pensare e per emozionarmi. Prima dei lettori, devo essere io a pensare ed emozionarmi, altrimenti, il tutto non funziona”. Per Domingo Villar, fare lo scrittore significa tenere “la bocca chiusa, ma le orecchie e gli occhi sempre molto ben aperti”, perché è così che si trae la giusta ispirazione per scrivere un libro: “essere scrittore è vivere un processo personale permanente”. Affascinato dal binomio fantasia/realtà, lo scrittore originario della Galizia sottolinea che è comunque la fantasia a doversi sprigionare dai suoi pensieri e dalla sua percezione riferita alla realtà circostante. Sempre più incuriosito dal suo mondo, dalla sua voglia di sognare e di far sognare con i suoi romanzi, oltre che piacevolmente sorpreso dalla sua grande affabilità, gli chiedo cosa leggesse da giovanissimo, quando abitava in Galizia: “Salgari, Stevenson e Verne, perché affascinato dall’avventura e dalla fantasia”. Passando ai contemporanei, aggiunge “Ah, mi piace molto anche il vostro Camilleri, grandissimo!”. Tornando alla sua attività di scrittore, mi racconta che impiega circa tre anni per scrivere un libro, perché è proprio durante la scrittura che ogni singola storia si arricchisce costantemente di dettagli, di personaggi e di avvenimenti nuovi. Prima di salutarci, Domingo oltre ad accennare con piacere alla rubrica radiofonica settimanale che lo vede impegnato a parlare di letteratura alla Radio Nacional de España, tiene a dirmi “Per me, essere qui, al festival, è un’esperienza interessante, perché mi piace confrontarmi con gli altri autori, conoscere il feed-back proveniente dai lettori e, soprattutto, parlare di letteratura fino a tarda notte con gli altri scrittori presenti, magari davanti a un buon bicchiere di vino”.
Hasta pronto, Domingo, muchas gracias y buena suerte por todo.


Marco Mancinelli
PressWeb Editor
pressweb@teletu.it

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